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da “Le ragioni di una collezione”, di Carmen Rossi, 2007

Posted by ArtWB8y67s in critica

Estratto da “Stefania Lucchetta, I fiori del maglio e altre collezioni”

Stefania progetta gioielli di ricerca, dichiarando apertamente il suo spiccato amore per la tecnologia e per le implicite possibilità d’innovazione formale che essa offre. Ella indaga, in modo specifico, quanto d’inedito può scaturire dalla sinergia tra due tipi diversi di creatività: quella artistica e quella scientifica.
Le “macchine”, e le relative nuove tecnologie applicabili all’oreficeria, sono da lei considerate delle vere ed imprescindibili compagne di studio e di lavoro, nonché delle potenziali fonti d’ispirazione creativa. Non solo, quindi, un prolungamento del braccio, ma anche degli occhi e della mente.
[…] Nell’antica Grecia l’arte è definita col termine téchne.
Téchne comprendeva sia la nostra concezione di “arte” sia di “tecnica”, ovvero quella capacità, astratta o manuale, di operare secondo una regola.
Se la nozione di arte nel mondo classico era, per definizione, connaturata a quella di tecnica, anche nel Novecento alcuni scultori hanno saputo tradurre in termini artistici il loro sapere tecnologico; così Anton Pevsner e suo fratello Naum Gabo, Alexander Calder e Jean Tinguely, per citare solo i più illustri rappresentanti di questa particolare tendenza.
Talune ricerche plastiche di Stefania si richiamano espressamente ad alcune loro opere, come rivela la parure della collezione Continuum chiamata Gabo, ispirata alle singolari costruzioni dello scultore bielorusso nelle quali la linea viene sviluppata senza soluzione di continuità.
Alcuni gioielli della serie Crystal, invece, riecheggiano molto liberamente le ricerche plastico-geometriche di Anton Pevsner nelle quali in complicate intersezioni di piani e di linee vengono inseriti fili metallici, di nylon o di celluloide, seguendo calcoli matematici molto complessi.
Il tipo di creatività della Lucchetta ci sembra quindi essere particolarmente affine allo spirito astratto-geometrico del “costruttivismo” dei fratelli Pevsner e del conseguente movimento Abstraction-Création scaturito in seguito da esso.
In comune c’è l’idea di utilizzare i materiali prodotti dalla moderna tecnologia e di liberare la scultura, così come l’oreficeria, dal vincolo di usare materiali convenzionali.
Nelle collezioni Sponges e Crystal Stefania ha infatti impiegato resine biocompatibili e, successivamente, titanio e stellite.
Quando la creatività ha sposato la tecnologia, ha spesso raggiunto esiti strabilianti e talvolta perfino ludici e giocosi, per nulla aridi insomma, come vorrebbe un luogo comune molto difficile da estirpare.
Illustri riprove di questo sono costituite dagli Stabiles e Mobiles dell’americano Calder, come anche dalle spettacolari e fantasiose “fontane idrauliche” dello svizzero Jean Tinguely, queste ultime ottenute recuperando il materiale proveniente dallo scarto industriale: ingranaggi arrugginiti, pompe e marchingegni dismessi e perfino ruote di bicicletta.
Tutte operazioni che stanno a dimostrare, una volta di più, che l’arte ha esteso, ormai da molto tempo, l’ambito dei propri confini e che nell’opera di tutti gli artisti si possono sempre trovare elementi riconducibili al tempo storico nel quale essi hanno operato.
Il Nouveau Réalisme degli anni Sessanta ci ha insegnato proprio questo: che bisogna rivolgere una particolare attenzione al mondo della propria attualità per trarre spunti creativi ed elevare a poesia quel che ci viene offerto. Il mondo contemporaneo, infatti, è quello che più ci appartiene e che noi tutti stiamo, anche inconsapevolmente, contribuendo a creare.

10 Ago 2013